Perché la memoria musicale si conserva in fasi avanzate della malattia di Alzheimer

 

 

DIANE RICHMOND

 

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XIII – 10 ottobre 2015.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: RECENSIONE]

 

Attualmente si ritiene che la memoria musicale sia in parte indipendente dagli altri sistemi di memoria che si studiano nel cervello umano. Numerose osservazioni hanno concordemente rilevato che in vari tipi di demenza, e in particolare nella neurodegenerazione della malattia di Alzheimer, la memoria musicale è sorprendentemente robusta, consentendo delle prestazioni in contrasto con il generale decadimento cognitivo del paziente nelle fasi avanzate del processo patologico. Altre osservazioni hanno documentato la conservazione di una buona memoria per la musica a fronte di gravi dismnesie o amnesie causate da traumi o lesioni cerebro-vascolari. In generale, sembra che la vulnerabilità della memoria dichiarativa, nelle due forme semantica ed episodica, sia decisamente maggiore di quella della memoria musicale.

A questi elementi di certezza, che da tempo l’osservazione neurologica ha sottoposto all’attenzione della ricerca, fa riscontro una quasi totale mancanza di conoscenza della neurobiologia e della neurofisiologia dei processi che consentono di conservare, rievocare e riconoscere la musica che si è ascoltata e appresa anche vari decenni prima.

Anche se l’esatta definizione delle basi neurali della memoria musicale richiederà molto tempo, un lavoro condotto da Jacobsen e colleghi sembra essere riuscito a rispondere al perché tale memoria è più resistente alla neurodegenerazione e ad altri tipi di danno neuronale dell’encefalo (Jacobsen J. H., et al., Why musical memory can be preserved in advanced Alzheimer’s disease. Brain 138 (Pt 8): 2438-2450, 2015).

La provenienza degli autori è la seguente: Max Planck Institute for Human Cognitive and Brain Sciences, Leipzig (Germania); INSERM, U1077, University of Caen Basse-Normandie, Caen (Francia).

La prima parte del progetto di ricerca intendeva definire aree esclusivamente attive durante il riconoscimento di musica nota da tempo, e pertanto verosimilmente implicate nella memoria della musica in condizioni fisiologiche.

Questa prima parte dello studio si è sostanzialmente basata sull’indagine morfo-funzionale mediante risonanza magnetica funzionale (fMRI) a 7 T dell’encefalo di 32 giovani (16 uomini e 16 donne con una mediana di età di 28.0 ± 2.2 anni) durante compiti di ascolto di brani musicali. Allo scopo di ottenere dati per confrontare le risposte cerebrali nella stessa persona, oltre che fra tutti i partecipanti per la stessa categoria di stimolo, i campioni selezionati per l’ascolto erano divisi in tre categorie: 1) musica sicuramente sconosciuta per i soggetti volontari; 2) estratto musicale ascoltato di recente, cioè un’ora prima dell’inizio della prova con la scansione delle immagini del cervello; 3) campione musicale conosciuto da anni.

Per identificare le regioni cerebrali che codificano la memoria musicale a lungo termine, i  ricercatori hanno impiegato un sistema di analisi basato su MPC (multivariate pattern classification).

I risultati hanno rivelato un’importanza cruciale della parte caudale della corteccia cingolata anteriore e della parte ventrale dell’area motoria pre-supplementare nella codifica neurale dei brani musicali conosciuti da lungo tempo; un pattern che non si riscontrava né per la musica ascoltata da poco né per quella del tutto sconosciuta.

La seconda parte del progetto di ricerca era volta ad analizzare le risposte cerebrali in condizioni patologiche, per confrontare i quadri funzionali e ricavarne informazioni specifiche.

I ricercatori hanno analizzato, in 20 pazienti affetti da malattia di Alzheimer (10 uomini e 10 donne, con una mediana di età di 68.9 ± 9.0 anni) i dati di tre biomarkers della malattia di Alzheimer in una regione di interesse derivata dai risultati della prima parte dello studio: parte caudale della corteccia cingolata anteriore e parte ventrale dell’area motoria pre-supplementare. Questo gruppo di pazienti è stato studiato facendo riferimento ad un gruppo di controllo costituito da 34 persone in apparente buona salute e comunque non affette da patologie neurologiche clinicamente evidenti (14 uomini e 20 donne, con una mediana di età di 68.1 ± 7.2 anni).

Un dato particolarmente interessante è che le regioni identificate quali codificatrici della memoria musicale corrispondevano ad aree che mostravano sostanzialmente un’atrofia corticale minima (secondo le misure condotte mediante la risonanza magnetica). E non solo. Eseguendo la tomografia ad emissione di positroni (PET) con 18-fluorodesossiglucosio, si è evidenziato che quelle aree, anche a dispetto dell’età, mostravano una minima alterazione del metabolismo del glucosio, a differenza delle altre aree del cervello analizzate.

Jacobsen e colleghi hanno poi analizzato la deposizione di β-amiloide, indice di progressione del processo neurodegenerativo alzheimeriano, nelle varie aree cerebrali. A tale scopo hanno impiegato la PET con 18-F-flobetapir, grazie alla quale è stato possibile rilevare che gli accumuli extracellulari di peptide amiloide nelle aree di corteccia cingolata e presupplementare implicate nella memoria della musica non erano minori delle altre regioni della superficie dell’encefalo. Tale reperto può essere interpretato alla luce della corrente concezione patogenetica che considera questa sequenza dei contrassegni di neurodegenerazione (biomarkers): l’accumulo di amiloide precede la fase di ipometabolismo, alla quale fa seguito l’atrofia corticale. Evidentemente, nelle regioni implicate nella memoria della musica si era rimasti ad uno stadio iniziale di questa successione di eventi patologici, con una conseguente integrità funzionale.

Considerando i risultati di questo studio nel loro insieme, si conclude che la coincidenza fra le regioni risparmiate dalla progressione patologica nella malattia di Alzheimer con quelle risultate attive nelle prove di memoria musicale, fornisce una prima spiegazione della conservazione della capacità di reagire alla musica nelle fasi avanzate della malattia. Ora, la ricerca dovrà scoprire perché sono preservati proprio quei territori anatomici.

 

L’autrice della nota ringrazia la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza e invita alla lettura delle recensioni di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).

 

Diane Richmond

BM&L-10 ottobre 2015

www.brainmindlife.org

 

 

 

 

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